Donne mie, Dacia Maraini

“Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali, imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia; nessuno però vi insegna ad essere orgogliose, sicure, feroci, impavide. A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo e la donna è l’oggetto passivo di tutti i tempi?
A che vi serve il latino e il greco se poi piantate tutto in asso per andare a servire quell’unico marito adorato che ha bisogno di voi come di una mamma?

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Donne mie impaurite di apparire poco femminili,
subendo le minacce ricattatorie dei vostri uomini,
donne che rifuggite da ogni rivendicazione per fiacchezza di cuore
e stoltezza ereditaria e bontà candida e onesta.
Preferirei morire piuttosto che chiedere a voce alta i vostri diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.
Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone e non oggetti,
dovete fare subito una guerra dolorosa e gioiosa,
non contro gli uomini, ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi con le dita per non vedere le ingiustizie che vi fanno.

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Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un’ amore senza scelte, istintivo e brutale.

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Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura.”

Dacia Maraini, 1974.

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